Author: Fontana, Ferdinando, 1850-1919
Italian drama
Nabuco
ALLA MIA PALMIRA
IL POEMA
PERSONAGGI
IL PROLOGO
NABUCO
DAÌRA
ARGIASP
ZALA
JEROBOÀM, Esseno
AFRAISAB, gigante
KUNAREND |
BÈRHAM |
DARAB |
GHEV | Capitani
BALTAZÀR |
FASKUN |
LORASP |
TOGHRUL |
GURGHIN | Cortigiani
NUSHÈH |
MAHAFERID |
GERIRÈH | Dame
EFRAIM, schiavo ebreo
JERAK, mago
ORMUZDE, battelliere
Soldati—Satrapi—Sacerdoti—Schiavi medî, egizi, sciti,
ebrei—Dame, Danzatrici, Citarede.
A Babilonia.—600 a. C. circa.
PROLOGO
Io sono il vecchio Prologo, ma vecchio
Così per dir; poichè l’Arti non hanno
(Ed il Teatro, mio padron, con esse)
Un’età. Ben lo so: la moda e il gergo
Dei critici, talor, sembrano imporre
All’Arti Belle coll’età un costume….
Ma ridon l’Arti di critici e mode!
Figlie d’un Vero, che Finzion si chiama,
Piace ad esse vestir gli idoli e l’are
In varie foggie. Ad ogni nova foggia
I critici invasati afferman «quella
«Esser la sola che accettar si debba».
Ma ancor finito d’affermar non hanno,
Che i devoti s’annojano, esclamando:
«O classici, o romantici, o veristi,
«Siete uguali per noi!… Se mutar foggia
«Vi garba,… meglio!… A noi basta del Nume
«La presenza sentir!»
Ond’è, signori,
Che il buon pubblico ancor del pari ammira
Goldoni e Shakespear, Ibsen e Labiche;
Nè, forse, gli dorrà che sia poema
Questo spettacol scenico, per l’alto
Concetto suo.
Lagrime e sangue grondano
Della Storia le pagine; e di tante
Vittime e tante, che immolò la guerra,
Ignoto è il nome; sol vive il ricordo
Dei più truci carnefici.—Felici
Furon costoro almen?—No!—Dell’umana
Letizia fecondar non può le ajuole
La rugiada del sangue.—Da quei campi,
Ove sepolti i cadaveri a mille
A fior di terra stanno, o abbandonati
Tra solchi immondi, un vibrïon s’aderge
A vendicarli!—E te, forse, alla gola
Ghermì a Sedan, o Federico, o biondo
Imperator, che pur mite nascesti;
E te, o Nabuco, al cerebro ghermìa.
Or dunque, o genti, perchè ancor vorreste
Esser vittime voi, se neppur dànno
Felicità ai carnefici quel sangue
Che per lor voi versale, e quelle lagrime
Che versano per voi le vostre donne?
Qui Nabuco evochiamo; ed egli stesso,
Egli, l’orrendo sacerdote antico
Di questa orrenda religion dell’armi,
Urli e ripeta colle labbra sue:
«Anatèma alla guerra!»
Del poeta
Questo il pensiero,—A lui, siate cortesi.
ATTO PRIMO
Nella reggia di Babilonia.—Grande atrio in
fondo.—Al di là dell’atrio vasto terrazzo, dal
quale, per uno scaleo, si scende al cortile
d’onore.—Il trono a destra, verso il
proscenio.—Sul trono lo scettro e la corona.
SCENA I
DAÌRA e ARGIASP
(Daìra vien frettolosa dalla destra, in
fondo—Argiasp l’insegue).
ARGIASP
Perchè sempre mi sfuggi?
DAÌRA
E perchè sempre
Mi segui tu?…—La figlia di Mitràne
Io sono; di colui, che fra i nemici
Fu di tuo padre.
ARG.
E n’hai tu colpa?…
(dopo averla amorosamente fissata un istante,
prendendole una mano)
Vuoi
Esser mia sposa?
DAÌRA (ritraendosi)
No….
ARG.
Chi preferirmi
Dunque potresti?…—È vero, io re non sono;
Ma Nabuco, partendo, a me affidava
Il poter suo; sicchè nessun m’è eguale.
Polvere son gli umani eventi. Il soffio
Del destin li sconvolge e li rimuta!
È Nabuco lontan; per lui qui stanno
La lealtà d’Argiasp, i parassiti
Della sua stirpe, e l’eco affascinante
Delle vittorie sue.—Ma s’ei morisse?…
S’io lo tradissi?… Se, genìa mal fida,
Dei cortigiani il gregge a un re novello
Rivolgesse la fronte, e la vittoria
A lui le terga?—Qual sarebbe allora
La tua sorte, o fanciulla?…—Io sol salvarti
Potrei…. se m’ami….
DAÌRA
E s’io non t’amo?
ARG.
Ha l’odio
Ardenti impeti in me come l’amore!
DAÌRA
E sia. Dunque al tuo amor dica il tuo odio:
ch’io non lo voglio; e all’odio tuo l’amore
Risponda: ch’io non so temerlo.
(fa atto d’allontanarsi)
ARG.
(le prende un lembo della veste per trattenerla e,
inginocchiandosi, lo bacia).
Ah…. no….
Fèrmati!
DAÌRA
Addio!
(Essa gli strappa il lembo dalle mani e scompare
per lo scaleo, mentre, a destra, sopravviene Zala).
SCENA II
ARGIASP—ZALA
ARGIASP (in ginocchio)
Io maledico, o Sole,
Al tuo splendor!… Di qualche torvo incanto
La preda io son, perchè ai suoi piedi io possa
Così strisciar!
ZALA
E tu esser re dovresti!
ARG. (alzandosi)
Non l’han voluto i Numi eterni….
ZALA
I Numi
Stan coi forti soltanto! Ancor Nabuco
È lontano, fratello.
ARG.
E la mia fede
Sacra.
ZALA
No…. infame!… Poichè infame è quella
Che un figlio giura, del padre obliando
Le lagrime e la morte!
ARG.
Io non dovea
Forse giurarla; ma giurarla volli,
E, sacra o infame, la terrò.
ZALA
Stoltezza!
Satrapo di Nabuco esser non puoi
Tu, che suo re nascesti; e, re, è tuo dritto
Stringer fedi e dissolverle.—Ma spense
Adunque in te della lascivia il fango
Ogni scintilla di memoria?—Sei
Tu mio fratello?…—Fu una carne istessa
Quella che ci creò?—Perchè non io
All’armi nacqui e tu ai femminei vezzi?
(additando il trono)
Ah,… guarda…. là!—L’ultima volta il padre
Noi là vedemmo; noi, bimbi tremanti
Colle catene ai polsi!… Ei rantolava
Nell’agonia suprema, e si torceva,
Pallido come pario marmo, gli occhi
Sbarrando intorno!… E, dall’aperta gola,
Colava il sangue! Il suo prezioso sangue!…
Il sangue nostro!…—Giù colava a fiotti;
Giù, sovra il petto; giù, sui fregi d’oro;
Giù, sulle gemme, come rosso serpe;
E dilagava a terra, ove vincea
Il color delle porpore!—Ah, potessi
Viva evocar l’abbominevol scena!
Far che nell’aria risonasse ancora
Quel rantolo! E, dal suolo, ove alla figlia
D’un carnefice suo tu ti inginocchi,
Raccôr potessi di quel sangue un grumo
Per gettartelo in volto!
(Acclamazioni in lontananza)
Or quali grida?
SCENA III
DAÌRA—DETTI
DAÌRA
(dallo scaleo, accorrendo)
Oh, la lieta novella!… Il re è tornato!
ARGIASP
Il re?…
ZALA
Nabuco?
DAÌRA
Si…. Fa ressa, intorno
Ad un drappel di cavalieri, il popolo
Alla porta di Belo.—«Il re ci segue!»
Gridan essi, «Lasciateci alla reggia
Recar l’annunzio!»—Ma la folla chiude
A loro il passo, colle mille bocche
Mille domande a lor volgendo.
ARG.
(fra sè, osservando Daìra)
Lieta
Mai la vidi così!
ZALA
(piano ad Argiasp)
Tutto è perduto!
Va…. T’affretta…. Ti prostra!… Io, nella reggia,
Ove nacqui, l’attendo.
(s’allontana a sinistra)
SCENA IV
DAÌRA—ARGIASP
DAÌRA
(a Argiasp, che muove verso lo scaleo, andando a lui)
Teco, Argiasp,
Verrò….
ARG. (ironico)
Di non seguirti a me imponevi….
E me seguire or vuoi?
DAÌRA (scostandosi)
No…. Va tu solo!…
D’un inutil sarcasmo ebbe la pena
La mia inutil richiesta…. All’occhio mio
Nulla sfuggir potrà s’io là rimango.
(indica il terrazzo in fondo e muove ad esso)
SCENA V
DAÌRA sul terrazzo—CORTIGIANI che vengono
d’ogni parte, s’incontrano, parlano fra loro
con concitazione—Fra i cortigiani, BALTAZÀR,
LORASP, FASKUN, TOGHRUL, GURGHIN, NUSHÈH,
MAHAFERID, GERIRÈH—Voci, grida e squilli
man mano più vicini.
LORASP
(accompagnato da Mahaferid, venendo dalla destra, a
Baltazàr, che giunge con Nushèh dal lato opposto)
Fulmineo ritorno!
BALTAZÀR
E ingrato forse
A molti.
MAHAFERID
A chi?
NUSHÈH
Meglio d’ognun tu il sai.
MAHAFERID (indicando Baltazàr)
Io so che insulti i suoi sospetti sono.
GURGHIN (incontrando Faskun)
Fulmineo ritorno!…
FASKUN
E trïonfale,
Gurghin!
GURGHIN
Nè ai canti di gloria e di gioja
Mancherà la mia voce!
FASKUN
È dessa stanca
Forse di mormorar sempre nell’ombra?
GURGHIN
(con terrore e ipocrisia)
O Faskun, tolga Belo che tu mai
Alla calunnia porga orecchio!
(si lasciano)
BALTAZÀR
(incontrando Faskun)
Muta
In pecorelle timide i mastini
L’apparir del leone!
FASKUN
È vecchia storia!
(squilli nel cortile)
DAÌRA (sul terrazzo)
Eccolo!… È desso!… Il Re!
TUTTI
(accorrendo al terrazzo, mentre Daìra, pensosa, se
ne allontana)
Viva Nabuco!
MAHAFERID
(a Gerirèh, mentre osservano entrambe nel cortile)
Sta sulla soglia della reggia Zala….
GERIRÈH
A lei si inchina il Re, non essa a lui,…
(Acclamazioni e nuovi squilli nel cortile)
DAÌRA (fra sè)
S’ei, vedendomi, più non ricordasse
Chi son, n’avrei troppo dolor!—Nascondermi
Voglio…
(dopo aver pensato un momento, come decisa, indicando
a sinistra)
Là!… Sì…. Là!… Nel giardino antico,
Ove, fanciulli, insiem stavam sovente!
(come ricordando)
Nascosto fra i cespugli, ei m’attendeva,
Su me piombava e mi ghermìa… mentr’io
Dicea ridendo: «No… bel leopardo,
«Alla gazzella tu non fai paura!…»
(Nuove acclamazioni)
Di rose gialle, a lui sì care un giorno,
Vo’ mandargli un canestro… e, s’ei ricorda
Quei fiori ancora, a lui n’andrò sicura
Ch’anche Daìra non può aver scordato!
(S’allontana rapidamente a sinistra.—Intanto la
scena s’è nuovamente popolata.—I cortigiani fanno
ala allo scalco).
SCENA VI
AFRAISAB, il gigante—KUNAREND, BERHAM,
DARAB, GHEV, poi NABUCO, alla destra del
quale ARGIASP, alla sinistra ZALA. Dietro ad
essi Capitani, Schiavi Medi, Egizî, Sciti, Ebrei.
Fra questi JEROBOÀM e EFRAIM.—Detti.
AFRAISAB
(apparendo dallo scaleo, con voce tonante)
Largo a Nabuco il re!
(Gran movimento—Si lascia libero il passo—Squilli,
rintocchi, canti, acclamazioni, grida in scena
e fuori),
TUTTI
Gloria a Nabuco!
NABUCO
(avanzandosi, riconoscendo Faskum, poi Baltazàr)
O mio vecchio Faskum…. E tu, tu pure,
Fedele Baltazàr….
BALT.
Signor, la gioja
Mi toglie la parola….
LORASP
(avanzandosi con Mahaferid)
A noi degnate
Uno sguardo!
(indicando Mahaferid)
Mia figlia….
NABUCO
E tu?
ZALA
Lorasp
Egli è….
NABUCO
Del sangue tuo….
ZALA (superba)
Sì, il regal sangue
Di Sàrak!…
NABUCO (ironico)
È regale la bellezza
Sempre…. e la forza….
(Va al trono e vi sale.—Afraisab gli porge lo scettro,
mentre Argiasp gli toglie l’elmo e gli pone sul capo
la corona).
TUTTI
Gloria al Re!
NABUCO
Le spade
Or deponiam.—Di Babilonia vinti
I nemici son tutti. Egizî, e Medi,
E Sciti, e Ebrei noi le traemmo schiavi;
E quelle mani, che alla sua rovina
Volgevan l’armi, or diverranno ancelle
Della sua gloria; e innalzeranno eccelsi
Templi ai suoi Numi; e aggiogheranno l’acque
Dell’Eufrate ribelli; ed in un vasto
Giardino muteran questo soggiorno;
E a me, che stringo nel mio pugno il mondo,
Eleveran statue d’argento e d’oro,
Che culto avranno come i simulacri
D’Auramazda e d’Istàr.—Nume son io
Com’essi!… A terra!… Innanzi a me prostratevi!
JEROBOÀM
(agli Ebrei che lo circondano)
Ah, per Gèova…. no!… no!… Nessun di voi,
O fratelli, si prostri.
ARG.
(a Jeroboàm e agli Ebrei)
A terra!
TUTTI
A terra,
O schiavi!
JER.
A terra non cadrem che spenti.
AFRAISAB
(ai soldati indicando Jeroboàm)
Ch’ei muoja!
NABUCO
No…. soltanto i forti atterra
Nabuco!… Ch’egli viva.
JER.
E più feroce
Così sei tu,… chè men peggior la morte
È del vivere schiavi, e vecchi, e ciechi!
NABUCO
Chi sei?
JER.
Jeroboàm, figlio d’Elia,
Degli Esseni di Kyriat.¹
¹ Kyriat Sefor (la città dei libri) mutò il nome in
quello di Debir, non meno significante, perchè vuol dire
«seggio della parola e dell’oracolo.»—La si chiamava
Città dei libri, fin dall’epoca di Giosuè.—Un passo
del Talmud dice: «Vuoi fare acquisto di sapere? Va presso
i dottori del mezzodì» cioè in quel paese, che sta al sud
di Gerusalemme ed è limitato a levante dal lago
Asfaltide, e fu per la Giudea quel che l’Attica per la
Grecia e la Toscana per l’Italia.—Ivi abitavano gli
Esseni, che incarnavano il tipo migliore dei migliori
repubblicani d’ogni tempo, perchè amanti della libertà,
odiatori dell’accentramento e dell’ipocrisia, miti e
forti. Filone nel suo libro «Ogni uomo probo è libero»
dice, che si chiamavano Esseni o Essei da una voce
siriaca, che vale pio, santo, benigno, o parla a lungo
della loro abilità medica, della loro longevità in causa
del vivere temperato e operoso, delle facoltà profetiche
che venivan loro attribuite, della loro morale, che
condannava la schiavitù
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